Man mano che emergono i numeri sul tiraggio del Superbonus la preoccupazione cresce. E se per i conti pubblici può fare poco, salvo sperare in una nuova decisione di Eurostat che riveda i criteri di contabilizzazione, il governo ora sta valutando i possibili meccanismi per ridurre, almeno, l’impatto della bolla dei bonus sull’economia.

L’obiettivo, ha confermato ieri il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, è «non abbandonare al proprio destino» i cittadini e le imprese che hanno acquistato questi crediti «in buona fede». Magari pensando di cederli, cosa oggi quasi impossibile, perché il mercato è saturo. Di crediti ancora da portare all’incasso, spiegava sempre ieri il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, «ne restano da pagare per 109 miliardi di euro».

Secondo l’Ance sarebbero 30 miliardi i crediti che oggi non trovano un acquirente, riguarderebbero 320 mila famiglie e 33 mila imprese. Secondo il governo sono di meno, anche se non vuol dire che il problema non esiste. Tanto più che una parte dei crediti legati ai bonus, cresciuti di 35 miliardi solo tra marzo ed agosto, deve ancora emergere. Il termine per le comunicazioni di cessione o sconto in fattura dei bonus del 2022 è a fine novembre e nessuno sa quanti altri crediti si scaricheranno sulla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate.

Di sicuro molti, tra imprese, professionisti e semplici cittadini, rischiano di restare col cerino in mano. Così, tra i possibili rimedi, spunta la possibilità di monetizzare i crediti, con lo Stato che offrirebbe in cambio titoli di Stato. Magari non per tutti: visto che del 110% hanno beneficiato i redditi alti (come certificano Bankitalia e Upb), l’operazione potrebbe essere riservata ai redditi più bassi. Non tutti sono d’accordo, ma mancano alternative efficaci. Ampliare la possibilità di recupero dei crediti non compensati negli anni successivi, previsto solo per le eccedenze del 2022, non risolve il problema degli incapienti. L’ipotesi che i crediti vengano riacquistati dalle società pubbliche non convince, mentre le Regioni stanno mettendo in campo le società partecipate. Dopo la Basilicata, si stanno muovendo anche Puglia e Campania. L’alternativa è lasciare il problema alla «soluzione» del mercato. Le banche, se comprano, pagano i 110%, con uno sconto del 15-16%. Sulle piattaforme private i Superbonus 110% vengono pagati con uno sconto medio del 17,5% rispetto al valore ceduto. Il bonus facciate viene pagato con uno sconto del 26,2%, come l’Ecobonus e le detrazioni per le ristrutturazioni edilizie. La lista di chi cerca acquirenti è lunghissima: chi vende crediti da 800 euro, chi da 800 mila.