Il coacervo "ereditario" non può essere applicato per le aliquote nè per il calcolo delle franchigie. È quanto l’agenzia delle Entrate, aderendo infine ad una serie di decisioni della Cassazione (dalla 24940/2016 alla 17623/2022) difformi da quanto l’Agenzia stessa ha sempre sostenuto a partire dalla circolare 3/E del 22 gennaio 2008 e cioè da quando l’imposta di successione e donazione è stata reintrodotta nel nostro ordinamento tributario (ad opera del Dl 262/2006 e della relativa legge di conversione 286/2006), attesta nella circolare n. 29/E del 19 ottobre 2023.

Resta invece applicabile il coacervo “donativo”, escludendo però da quest’ultimo le donazioni stipulate nel periodo compreso tra il 25 ottobre 2001 e il 28 novembre 2006 e cioè nel periodo in cui l’imposta di successione (in quanto abrogata dalla legge 383/2001) è rimasta non vigente e per talune donazioni si è dovuto pagare l’imposta di registro e non più l’imposta di donazione.

Per coacervo ereditario (o successorio) si è intesa fino ad ieri l’operazione, che il Dlgs 346/1990 (testo unico dell’imposta di successione e donazione) pareva imporre e che ancor prima imponeva il Dpr 637/1972, consistente nel sommare al valore dell’asse ereditario il valore delle donazioni disposte dal de cuius, con il fine di verificare se la franchigia esente di un milione di euro (a vantaggio del coniuge e dei parenti in linea retta) o di 100mila euro (a vantaggio di fratelli e sorelle) fosse già stata erosa in tutto o in parte ad opera di dette donazioni stipulate dal de cuius durante la propria vita. Il ragionamento della Cassazione, ora accolto dall'Agenzia, è che la successione nel tempo delle varie leggi che hanno normato l’imposta di successione ha provocato l’abrogazione implicita dell’obbligo di coacervo ereditario, in quanto istituto non più adatto all’attuale assetto dell’imposta di successione (che è interamente su base proporzionale, dopo una franchigia variabile a seconda del rapporto di parentela tra de cuius ed eredi) perché adeguato all’epoca in cui l’imposta era da calcolare in base a aliquote progressive applicate a una serie di scaglioni di valore imponibile, anche in quel caso dopo alcune fasce di esenzione.

Quanto invece al coacervo donativo, si tratta di un’operazione che non ha subito le vicissitudini legislative dell’imposta di successione: quindi, ancor oggi (con la predetta esclusione delle donazioni fatte nel periodo di soppressione dell’imposta di donazione), quando si stipula una donazione occorre domandarsi se, in precedenza, sia stata stipulata, tra il medesimo donante e il medesimo donatario (che siano coniugi, parenti in linea retta o fratelli e sorelle), un’altra donazione e, in caso positivo, occorre tassare la nuova donazione considerando la franchigia in tutto o in parte assorbita dalla precedente donazione.

Ne esce tuttavia un sistema del tutto squilibrato: sia nell’imposta di successione che nell’imposta di donazione le aliquote e le franchigie sono perfettamente identiche; ma, nell’una non si fa luogo a coacervo (e, quindi, la franchigia non è intaccata da donazioni eventualmente disposte dal de cuius) mentre nell’altra si deve tener conto delle donazioni pregresse e quindi può ben darsi il caso che l’intero valore imponibile delle donazioni successive debba esser sottoposto a tassazione proporzionale.