L'articolo 2469, comma 1, del codice civile sancisce il principio del libero trasferimento mortis causa delle quote di S.r.l. per il solo effetto della successione, la partecipazione del socio defunto è direttamente trasferita in capo all'erede nel momento in cui questi accetta l'eredità, e, in presenza di più eredi, è nominato un rappresentante comune ai sensi dell'articolo 2468, comma 5, del codice civile, che amministri la quota oggetto di comunione ereditaria.

Il trasferimento, ai sensi del successivo articolo 2470, commi 1 e 2, diviene efficace nei confronti della società nel momento in cui, su richiesta dell'erede, è depositata presso il Registro delle Imprese la documentazione relativa al trasferimento mortis causa.

Il citato articolo 2469, al secondo comma, prevede che l'atto costitutivo o lo statuto della società possono derogare alla disciplina appena esposta attraverso clausole di intrasferibilità, di gradimento o di altro genere che abbiano l'effetto di limitare il trasferimento delle quote.
In relazione agli effetti che la clausola con la quale in caso di morte di uno dei soci della società i soci supersitti potranno scegliere se liquidare la quota agli eredi o legatari oppure se preseguire il contratto sociale con con gli stessi, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3345 del 12 febbraio 2010, ha chiarito che tale clausola non ricollega direttamente alla morte del socio l'attribuzione ai soci superstiti della quota di partecipazione del defunto, ma consente che questa entri inizialmente nel patrimonio degli eredi, pur se connotata da un limite di trasferibilità dipendente dalla facoltà degli altri soci di acquisirla esercitando il diritto di opzione loro concesso dallo statuto sociale.

La Suprema Corte con la sentenza 16 aprile 1994, n. 3609, aveva peraltro precisato, con riferimento ad una clausola simile inserita in uno statuto di una società per azioni, che il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci è destinato a produrre effetti solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o per testamento) delle azioni agli eredi, con la conseguenza che la morte di uno dei soci costituisce soltanto il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l'opzione per l'acquisto suddetto, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione ereditaria o che si configurino gli estremi di un patto di consolidazione delle azioni fra soci. La clausola, insomma, si caratterizza come atto inter vivos, in quanto tale consentita dalla disciplina legale delle società di capitali, nella misura in cui questa non impedisca di sottoporre a particolari condizioni l'alienazione di azioni o quote di partecipazione societaria.

L'opzione esercitata dai soci superstiti non ha quindi - come finalità - quella di impedire il trasferimento della quota mortis causa agli eredi (quota che, come precisato dai giudici di legittimità, entra nel patrimonio degli stessi a seguito della morte del socio defunto); quest'ultima configura bensì una ipotesi di acquisto delle quote da parte degli stessi soci superstiti con contestuale estromissione degli eredi dalla compagine sociale.

Da evidenziarsi infine che la predetta operazione, configurando una ordinaria cessione di quote sociali con liquidazione del relativo importo, non assume rilievo ai fini successori e non rientra pertanto nel campo di applicazione dell'articolo 48 del d.lgs. n. 346 del 1990.