In caso di decesso di una persona che abbia rilasciato una fideiussione, il valore dell’attivo ereditario si calcola senza tener conto del debito garantito, a meno che il fideiussore non sia deceduto avendo una posizione debitoria «certa ed attuale».
Lo ha affermato di recente la Cassazione (sentenza n. 32804 del 9 novembre 2021), trasportando in campo civilistico (il giudizio era stato attivato da un erede per reclamare la propria quota di legittima) un principio già affermato in campo tributario e confermando pertanto come il rilascio di una fideiussione da parte del de cuius sia da considerarsi ad oggi sostanzialmente irrilevante sia in campo civilistico che in campo tributario, a meno che il de cuius/fideiussore non sia stato escusso e non sia stato in grado di recuperare l’esborso subito con l’azione di regresso.
Se, dunque, il fideiussore decede avendo una posizione debitoria «certa e attuale», allora essa si sommerà alle passività del defunto di cui tenere conto quando si effettueranno i calcoli per stabilire se siano state rispettate le quote di legittima riservate ai legittimari e si determinerà il valore dell’attivo ereditario da assoggettare ad imposta di successione.
Viceversa, se il de cuius decede senza esser stato escusso, la posizione contrattuale che egli aveva nel contratto di fideiussione risulterà di valore sostanzialmente irrilevante.
Lo stesso dicasi nel caso in cui l’erede venga escusso dopo esser subentrato al de cuius nella posizione di fideiussore, trattandosi di una passività originatasi in capo all’erede e non già di una passività maturata in capo al defunto.