È entrata in vigore il primo gennaio di quest’anno la Global minimum tax, detta anche Gmt, introdotta dai Paesi Ocse per evitare il fenomeno dell’erosione e del "trasferimento" della base imponibile e con l'obiettivo di costringere pertanto le multinazionali a pagare la tasse laddove realizzano gli utili. La tassa minima per le imprese, che vale a partire dai redditi realizzati nel 2024, avrà un’aliquota del 15% e graverà sugli utili realizzati dalle multinazionali con fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro in almeno due dei quattro esercizi precedenti. Più nel dettaglio le aziende saranno soggette a un’aliquota fiscale effettiva (Afe) minima del 15% sui loro profitti realizzati in ogni Paese dove operano anche tramite sussidiarie. I primi Paesi che hanno introdotto la Gmt a partire da gennaio 2024 sono: i 27 dell’Unione Europea (direttiva europea n. 2022/2523 del 14 dicembre 2022) , il Regno Unito, la Norvegia, l’Australia, la Corea del Sud, il Giappone e il Canada. Diversi Paesi, da tempo considerati paradisi dalle multinazionali, vi parteciperanno, tra cui Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svizzera e Barbados, che in precedenza avevano un’aliquota d’imposta sulle società del 5,5 per cento. Non la hanno invece ancora introdotta gli Stati Uniti e la Cina. In Italia la predetta direttiva è stata recepita dal decreto legislativo n. 209/2023 (di attuazione della legge delega sulla fiscalità internazionale). 

Secondo le stime pubblicate dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre, tuttavia, gli effetti della Gmt sulle entrate fiscali del nostro paese rischiano di essere poco significativi, con un incasso per l'esercizio 2025 stimato in soli 381,3 milioni di euro. Opinione confermata dall’economista di Berkeley Gabriel Zucman, il quale, nel  «Global Tax Evasion Report 2024» pubblicato pochi giorni fa con la collaborazione dei colleghi Annette Alstadsaeter, Sarah Godar e Panayyiotis Nicolaides, giunge alla conclusione che l'impatto della Gmt sia molto minore delle attese e che la causa debba ricercarsi nella presenza di una eccessiva serie di rinunce e scappatoie che, rendendolo meno vincolante per le imprese, ne limitano considerevolmente l'applicabilità e con essa l'efficacia rispetto agli obiettivi postisi dai promotori dell'accordo Ocse. Gli esempi che porta al riguardo  il Prof. Zucman sono molto concreti. In primo luogo, c’è un’esclusione dalla portata dell’aliquota minima dei profitti delle multinazionali prodotti da un’attività economica reale in impianti che siano pari all’8% del valore degli attivi della stessa impresa più il valore del 10% dei suoi costi del personale. Per esempio, una multinazionale tecnologica americana in Irlanda paga comunque l’aliquota di Dublino (spesso tendente a zero, in termini effettivi) su una parte sostanziale del suo imponibile. Di qui l’accusa di Zucman e soci: questa scappatoia riduce di fatto il gettito della tassazione sulle società nel mondo dell’1,7% (dunque, molte decine di miliardi) rispetto a quanto sarebbe senza di essa. Non solo. Si crea così un incentivo per i paradisi fiscali a mantenere e rafforzare le loro aliquote bassissime e per le multinazionali a trasferire ancora più delle loro attività produttive in quei paradisi fiscali. Questa almeno l’accusa del rapporto, che poi prende di mira anche un’altra distorsione ovvero il fatto che le multinazionali basate negli Stati Uniti siano esenti dall’aliquota al 15% della Global Minimum Tax sui loro profitti nel Paese - dunque possono pagare molto di meno, per esempio in Delaware - proprio perché in America non c’è un consenso sufficiente nel Congresso per applicare l’accordo Ocse. Quest'ultimo non è un dettaglio da poco, tenuto conto che le multinazionali americane sono le più grandi al mondo e sono responsabili da sole del 40% dei trasferimenti di profitti verso paradisi fiscali registrati a livello internazionale. Già da sola - calcola Zucman - questa esenzione riduce dell’1,5% il gettito totale della tassazione societaria al mondo. La Global Minimum Tax è solamente, in definitiva, il primo passo verso un governo della globalizzazione che non lasci campo libero alla competizione fiscale più deleteria.

08 Gen 2024